Come promesso nel precedente post dedicato a questa storia, ecco la mia indegna trasposizione in prosa del poema popolare della Baronessa di Carini. Segue l’originale in vernacolo siciliano, per chi voglia godersi la vera poesia…
Piange Palermo, piange Siracusa, tutta la Sicilia è in lacrime.
A Carini tutte le case sono in lutto, e chi fu la causa di questa atroce notizia possa non avere mai più pace nella sua casa. In questo momento la mia mente è confusa e ho il cuore gonfio, e mi ribolle il sangue nelle vene. Vorrei che una modesta canzone, modesta ma piena di rispetto, piangesse colei che fu per la nostra casa e la nostra terra una colonna, la più bella stella che sorrideva nel cielo, un’anima senza ombre e senza veli, la stella più bella tra tutte le stelle: la povera Baronessa di Carini. I suoi splendidi occhi sono ormai divorati dai vermi, seppelliti sotto la nuda terra, senza più nessun amico intorno, e conoscono ormai soltanto il mio povero amore di cantastorie.
E voialtri, tutti voi che avete appreso la tragica notizia, elevate il vostro pensiero solo al Signore, e non turbatela più, perché un giorno anche voi sarete come lei, vermi fra i vermi.
Fate solo elemosina e carità e solo così, andando anche voi in cielo, un giorno la ritroverete.
Fiumi, montagne e alberi, piangete anche voi. Sole e luna, non apparite più. La bella Baronessa che ora avete perduta, ebbene, era lei che vi dava i raggi innamorati per tutti gli innamorati. Uccellini dell’aria, cosa volete ora? Cercate il vostro amore, ma lo cercate invano! Barchette che venite lente a questi lidi, da oggi spingete le vostre piccole vele con il segno del lutto, un lutto davvero scuro, perché è morta la Signora dell’amore.
Amore, amore, piangi questa tragedia, piangi quel gran piccolo cuore senza più pace, quegli occhietti, quella bocca benedetta di cui, mio Dio, non resta più neppure l’ombra!
Però, però c’è il sangue che grida vendetta, ed è ancora rosso nella parete, e grida vendetta, e aspetta vendetta!
E verrà. Perché c’è chi viene con piede di piombo, quello che solo governa il mondo.
Sì verrà, perché c’è chi viene con passo lento, ma prima o poi, anima di Caino, ti raggiungerà lo stesso.
Così avvenne: Attorno al castello di Carini passava e ripassava un bel Cavaliere, sia al mattino che alla sera, con gli occhi al cielo verso quella finestra, e girava come un’ape in aprile intorno ai fiori per coglierne il nettare. Eccolo ora che compare dalla pianura sopra un cavallo, bello, che vola senza ali. Ed eccolo ora di notte con il mandolino, e potete sentire nel giardino la sua voce.
Il Giglio soave che spande il suo profumo, avvolto fra le sue stesse fronde, per evitare gli inevitabili affanni di quell’amore non risponde alle premure dell’amante. Ma dentro, ah!, dentro è divorata da potenti fiamme, e si aggira sconvolta e confusa, finché il senno non le regge più. Perché è così. Perché così l’amore domina tutti.
Questo fiore è nato con gli altri fiori, e già a marzo cominciò a far cadere i suoi petali. Aprile e maggio ne hanno potuto godere l’odore, ma con il sole di giugno già prendeva fuoco, un fuoco che brucia in tutte le ore, un fuoco che brucia, che brucia e non consuma. Ed è questo grande fuoco che dà vita a quei due cuori, e li trascina insieme, come calamita, fin dentro le sue fiamme.
Vita dolce, questa vita d’amore, non superata mai da nessun’altra, se solo la si potesse vivere fino al colmo. Il sole del cielo passa, e poi si ferma, e poi ancora le stelle lo seguono a ruota. E così una piccola catena, piccola ma invincibile, stringe i loro cuori e li fa battere insieme, e quella stessa felicità li colora, li colora d’oro e di rosa.
Ma l’oro fa l’invidia di cento e più persone, e la rosa è bella, ma è fresca solo per un momento.
E così avvenne: Il Barone era appena tornato dalla caccia; “Mi sento stanco” disse “Voglio riposarmi”.
Ma proprio allora si presenta alla porta per parlargli un piccolo frate, infame e traditore.
“Sono stati insieme tutta la notte!” gli dice “Lunghe confidenze hanno da farsi!”
Gesù Maria, che brutta aria che si alza in un istante! Inequivocabile segnale di tempesta!
E intanto il fraticello se ne va, ridacchiando soddisfatto, e di sopra, nelle sue stanze, il barone si agita infuriato.
Fu allora che la luna s’ammantò di nuvole, e svolazzò il gufo, spaventato persino lui.
E fu allora che il barone afferrò spada ed elmo e spronando il cavallo gli gridò nel buio: “Vola cavallo! Fuori da Palermo! E voi, miei fedeli, benché sia notte, seguitemi e tenetemi dietro!”
Ormai già una luce rosata si posava sulla schiena di Ustica, laggiù in mezzo al mare.
La rondinella che vola e si solleva, come per salutare il sole, vede spesso il suo volo interrotto dall’arrivo dello sparviero, e timida e terrorizzata si nasconde dentro il nido, nella speranza di potersi salvare.
Questa stessa paura e questo stesso terrore toccò alla Baronessa di Carini mentre, affacciata al suo balcone, si beava del suo amore.
Sentì il rumore, guardò verso la pianura.
“Vedo venire una cavalleria, questo è mio padre che viene per me! Arriva seguito da molti cavalieri, si, è mio padre, che mi viene ad ammazzare…”
“Signor Padre, che veniste a fare?”
“Signora Figlia, vi vengo ad ammazzare!”
“No, Signor padre, datemi almeno un po’ di tempo, poco appena, almeno per chiamare il mio confessore!”
“È da tanti anni che ci prendi in giro, e adesso vai cercando la confessione? Questa non è ora di confessioni, e neppure di ricevere il Signore!”
Dette queste parole spietate, sguainò la spada e le squarciò il cuore.
Al primo colpo la donna cadde, al secondo colpo, la donna morì.
Ma ancora non sapete quanta pena, per quell’anima infelice, quando si vide senza nessuno che venisse in suo aiuto. Era perduta, e cercava qualche amico, e correndo disperata da una sala ad un’altra nel grande castello voleva sfuggire alla morte e gridava forte: “Aiuto, carinesi! Aiuto, aiuto! Vuole uccidermi!”
E infine distrutta disse “Cani carinesi!”, e questo fu il suo ultimo grido.
Ultimo grido e ultimo spasimo, perché poi perse il sangue, e poi perse il colore.
E allora almeno correte adesso, correte tutti, gente di Carini, ora che è morta la vostra Signora, ora che è morto il giglio che fioriva qui da voi, e ne ha colpa un cane traditore.
Correte tutti, monaci, padrini, sacerdoti, e datele almeno onorata sepoltura. Correte tutti, buoni paesani, e portatela almeno alla tomba in degna processione.
Di lì a poco, la terribile notizia giunse anche al palazzo, e la nonna cadde a terra svenuta, e le sorelline si strapparono i capelli, e gli occhi della mamma si chiusero e non vollero vedere più nulla. E un attimo dopo si seccarono i garofani nei vasi, e a lungo restarono spoglie le finestre. E il gallo che cantava non cantò più, e sbattendo le sue ali fuggì via.
E ora guardate, e ascoltate: a due e a tre si riuniscono le genti, e fanno crocchio con il cuore tremante, e per la città si ode un brusio del calabrone che pare un gemito e un pianto. “Che mala morte, che morte atroce, lontana dalla madre a dall’amante, l’hanno seppellita di notte, al buio, e anche il becchino aveva paura”.
E così né io né nessun altro ti ha potuto ornare di fiori, né ha più rivisto il tuo bel volto.
Ho il cuore spezzato, e neanche riesco più a parlare mentre sono qui, in ginocchio, sopra la tua lastra di marmo.
Povero ingegno mio, cerca di mettere le ali e volare via, alto, e cancellare così questo nero dolore. Per poter davvero scrivere e fermare le mie lacrime, dovrei avere la mente saggia del Re Salomone, ma non ce l’ho.
E così la mia piccola barca resta fuori dal porto, senza guida, in mezzo alla tempesta.
LA BARUNISSA DI CARINI (Anonimo del ‘500)
I
povira Barunissa di Carini!…
II
ca un jornu ‘nparadisu la truvati.
III
ca morsi la Signura di l’amuri.
IV
ti iunci sempri, arma di Caino…!
V
sintiti la so vuci a lu jardinu.
VI
ca tutti accussi’ domina l’amuri.
VII
li tira appressu comu calamita.
VIII
la rosa è bedda e frisca pi un mumentu.
IX
e lu baruni susu sdillinia.
X
viniti a la me spadda ‘ncumpagnia.
XI
a mala pena ca si po’ sarvari.
XII
– Signura figghia, vi vinni ammazari.
XIII
l’appressu colpu la donna muriu.
XIV
ca persi gia’ lu sangu e lu culuri.
XV
purtativilla in gran processioni.
XVI
va sbattennu l’aluzzi e sinni fui.
XVII
lu beccamortu si scantava puru.
XVIII
Un pensiero riguardo ““Signuri patri chi vinisti a fari?””